Il professionista è responsabile nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale solo se è certo o altamente probabile
che egli avrebbe conseguito un risultato vantaggioso per il suo assistito se non avesse commesso una negligenza e/o un'imperizia.
Tale prncipio è stato ribadito dalla recente sentenza n. 22376/2012 della terza sezione della Corte di Cassazione, che lo scorso 10 dicembre è nuovamente intervenuta
sul tema della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale.
Il caso vedeva coinvolto un ex ministro condannato dalla Corte dei Conti per avere concesso, a prezzi inferiori a quelli di mercato e ad inquilini scelti
discrezionalmente, alcuni appartamenti di un prestigioso immobile pubblico. Il politico aveva citato in giudizio i propri legali, sostenendo che la sua condanna per responsabilità contabile era
dipesa da un grave errore dei difensori, non avendo questi ultimi richiesto la fissazione dell’udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni del Procuratore Generale, con conseguente
declaratoria d’improcedibilità dell’appello.
La Corte di legittimità, investita della questione, ha rigettato il ricorso, confermando sostanzialmente quanto stabilito in primo e secondo grado.
In particolare, la Cassazione ha precisato, richiamando la giurisprudenza in materia di contratto d'opera intellettuale, che “ove anche risulti provato
l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora,
sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito” (ex multis, Cass. n. 22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n.
21894/04, Cass. n. 6967/06, Cass. n. 9917/2010).
Il giudizio prognostico, ha aggiunto la Corte, consiste in una valutazione volta a verificare se la pretesa azionata a suo tempo sarebbe stata, in termini
probabilistici, ritenuta fondata senza la negligenza o l'imperizia del legale e se il risultato sarebbe stato diverso e più favorevole al patrocinato.
L’indagine è riservata all'apprezzamento del giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretta da una motivazione adeguata ed
immune da vizi logici e giuridici (tra le tante Cass. n. 6967/06, n. 10966/04, Cass. n. 9917/2010),
Per quanto attiene al riparto dell’onere probatorio, il cliente deve fornire tutti gli elementi di prova in ordine alla fondatezza dell'azione proposta come:
l'inadeguatezza della prestazione professionale, l’esistenza del danno e del rapporto di causalità tra la prestazione professionale ed il danno (cfr. Cass. n. 16846/05, Cass. n.
12354/09).
Nel campo della responsabilità forense, quindi, non si applica il principio statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 13.533 del 30
ottobre 2001, secondo cui il criterio di riparto dell’onere della prova è identico per le obbligazioni di mezzi e di risultato.
In questo ambito, pertanto, il cliente non potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento, ma dovrà provare l’inesattezza della prestazione
professionale.
La Cassazione ha, inoltre, precisato che il danno da perdita di una chance si può risarcire solo se si fornisce la prova dell'esistenza di un pregiudizio
economicamente valutabile, causalmente riconducibile alla condotta del terzo (cfr. Cass. n. 15385/2011).
Di seguito si riporta il testo della pronuncia, tratta da Altalex.