La presente sezione contiene una raccolta delle più significative sentenze in ambito civile divise per materia:
Con il decreto legge n. 90/2014 del 24 giugno scorso sono stati aggiornati gli importi del contributo unificato. Per gli importi aggiornati si rinvia qui.
Con la riforma del diritto di famiglia, approvata lo scorso luglio, si è liminata ogni residua discriminazione rimasta nel nostro ordinamento fra i figli nati nel matrimonio e quelli
naturali.
Il testo, predisposto dalla Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha, infatti, stabilito:
Nel recepire la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, il legislatore ha deciso di:
Si riporta di seguito una tabella, redatta dal dott. Buffone, la quale illustra i principali punti della riforma (v. Altalex).
Nella sentenza sotto riportata, la Suprema Corte ha precisato che il giudice deve vagliare la fondatezza della pretesa del ricorrente, anche se il decreto ingiuntivo ha perso efficacia ex art. 644 c.p.c.
La Corte di Cassazione ha stabilito, a tale proposito, che l'inefficacia del provvedimento non lo priva della qualifica di domanda giudiziale e che, pertanto, se si costituisce validamente il rapporto processuale, il giudice adito deve valutare non soltanto la consistenza dell'eccezione di inefficacia presentata dal convenuto, ma deve anche vagliare la fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente.
Tra le più interessanti pronunce in materia di diritto di famiglia, si deve segnalare quella nella quale la Corte europe dei diritti umani ha dichiarato discriminatorio vietare l'adozione di bambini alle coppie omosessuali se i piccoli sono figli di uno dei due partner della coppia.
Lo ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti umani in una sentenza emessa su un ricorso presentato da due donne austriache e dal figlio di una di loro. In sostanza, nelle coppie gay i partner devono avere il diritto ad adottare i figli dei loro compagni, cosi come avviene per le coppie eterosessuali non sposate.
La sentenza e' stata emessa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo a grande maggioranza e riguarda prettamente l'Austria, anche se i principi valgono per tutti gli altri 46 Stati membri del Consiglio d'Europa.
Il caso chiama in causa due donne che convivono da anni e il figlio che una di loro ha avuto da un uomo con cui non era sposata. Dopo aver concluso un accordo di adozione con il padre nel 2005 al fine di creare un legame legale tra il minore e la compagna della madre, le due donne si sono pero' viste respingere l'intesa da un tribunale locale, il quale ha rimandato all'articolo 182.2 del codice civile austriaco secondo cui la persona che adotta acquisisce i diritti del genitore naturale, e in questo caso quindi quelli della madre.
Una sorta di paradosso, che ha spinto la magistratura europea ad affermare che le autorita' austriache hanno violato i diritti dei ricorrenti discrimandoli sulla base dell'orientamento sessuale dei partner, cio' considerando che nel Paese l'adozione dei figli dei compagni e' possibile per le coppie eterosessuali non sposate.
Ad essere stati violanti, secondo la Corte di Strasburgo, sono stati gli articoli 14 e 8 della convenzione europea dei diritti umani, che sanciscono la non discriminazione e il diritto al rispetto della vita familiare. Dal canto suo la Corte ha tuttavia voluto precisare che gli Stati aderenti alla convenzione non sono tenuti a riconoscere il diritto all'adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate.
Tale argomentazione non è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha sottolineato che "ciò che rileva ai fini dell'azione esecutiva è l'individuazione dei soggetti, legittimati rispettivamente ad agire in executivis ed a subire l'esecuzione; questa individuazione va fatta esclusivamente in base al titolo esecutivo, a nulla rilevando - contrariamente a quanto sembra sostenere il ricorrente - che nel giudizio concluso con la sentenza costituente titolo esecutivo fossero parti altri soggetti”.