Con la sentenza del 3 gennaio 2013, n. 40 la Corte di Cassazione ha precisato che è possibile ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se
non è ancora passata in giudicato la sentenza con la quale i due coniugi hanno definito l’affidamento dei figli e l’assegnazione della casa coniugale.
Il caso esaminato dal Supremo Collegio riguardava un marito, che aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Roma una sentenza che decideva sul divorzio, mentre pendeva
presso la Corte di Appello il procedimento di riesame per definire le condizioni della separazione personale. Contro tale decisione la moglie aveva proposto appello, eccependo il mancato
passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione personale.
Dal momento che la Corte di Appello aveva, però, confermato la decisione del Tribunale, la moglie aveva presentato ricorso in Cassazione deducendo l’inammissibilità e l’improcedibilità della
domanda di divorzio per violazione dell’art. 3 comma 2 della legge su divorzio.
La Corte ha, però, respinto le eccezioni proposte specificando che si può scindere la pronuncia sulla separazione personale da quella sulle altre questioni attinenti l’addebito o il mantenimento
(Cass. Civ. n. 16985/2007 e n. 15157/2005).
Tale pronuncia riprende l'orientamento giurisprudenziale dominante, che è stato seguito, pure, nella sentenza della prima sezione civile n. 9614 del 2010, nella quale la Corte ha testualmente
spiegato che la previsione contenuta nella legge sul divorzio di cui all’art. 4, comma 12 è stata introdotta dal legislatore per fornire uno strumento di accelerazione dello svolgimento del
processo.
Secondo la Corte, la norma speciale contenuta nella legge sul divorzio applicherebbe il principio generale di dell'art. 277 c.p.c., comma 2, con la differenza che la norma generale richiede il
presupposto dell’istanza di parte e l’esistenza di un apprezzabile interesse alla veloce definizione della domanda.
Pertanto, il tribunale, qualora la causa sia matura per la decisione sul divorzio, anche d'ufficio non può, ma "deve", senza alcun potere discrezionale in merito, pronunciare sentenza non
definitiva sul divorzio.
Ancor più recente una sentenza della stessa sezione della Cassazione, la quale ha confermato che l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito pronunciato in sentenza, implica il
passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza impugnazione (Cass. Civ. n. 24442/2011).
Infine, la sentenza passa ad esaminare un altro motivo di ricorso dedotto dalla ricorrente, ossia la violazione di costituzionalità della norma di cui all’art. 2 della legge sul divorzio per
contrasto con gli articoli 3,7,8 e 29 della Costituzione, nella parte in cui prevede per il matrimonio religioso la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Sostiene la ricorrente che ciò
è irragionevolmente e pregiudizievole per i cittadini che hanno in precedenza esercitato una libera scelta in favore del matrimonio celebrato con rito religioso.
Con riguardo a quest’ultimo rilievo, in passato la Corte Costituzionale aveva evidenziato però che la scelta del matrimonio concordatario non implica la rinuncia ad avvalersi del diritto di far
cessare gli effetti civili del matrimonio, essendo quest’ultimo un diritto personale e inviolabile e quindi indisponibile.
Al contrario, il diritto all'indissolubilità del vincolo matrimoniale non rientra nei diritti costituzionalmente garantiti. L'indissolubilità costituisce un requisito del matrimonio religioso
previsto unicamente nell'ordine morale cattolico e nell'ambito dell'ordinamento canonico, che non è stato recepito nell'ordinamento italiano. Di conseguenza, quel vincolo non può avere alcuna
incidenza sugli effetti civili del matrimonio concordatario, ne può precludere il diritto strettamente personale e irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall'ordinamento italiano di far cessare
gli stessi effetti civili (C. Cost. n. 11860/1993 e n. 7990/1996).
Anche questo motivo di ricorso dunque viene respinto dalla Cassazione, unitamente al ricorso in via incidentale presentato dal marito, che probabilmente stanco del battibecco giudiziario, aveva
chiesto la condanna della moglie ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per aver insistito nella pretesa di revisione della sentenza di divorzio, pur in presenza di normativa e giurisprudenza palesemente
contrarie.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 3 gennaio 2013, n. 40
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
In data 9.3.2007 il Tribunale di Roma pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto da S. A. con P.V.C., riservando al
prosieguo la decisione in merito alle richieste di affidamento del figlio minore e di assegnazione della casa familiare, domande formulate in via subordinata ove accolta quella di divorzio
proposta dal P.
La sentenza, impugnata dalla S. che aveva sollecitato declaratoria di inammissibilità della domanda principale di divorzio poichè introdotta prima del
passaggio in giudicato della sentenza di separazione, veniva confermata dalla Corte di Appello, che in particolare affermava di condividere l'orientamento secondo il quale si determinerebbe un
giudicato interno sulla pronuncia relativa alla separazione tra i coniugi quando, come nella specie, fosse stata proposta impugnazione soltanto in relazione alle statuizioni
aggiuntive.
Da tale premessa la Corte territoriale deduceva dunque la correttezza della decisione adottata dal primo giudice, ritenendo inoltre manifestamente infondate le
questioni di costituzionalità sollevate dall'appellante sotto il profilo del preteso diritto all'indissolubilità del vincolo matrimoniale e della dissonanza della disciplina dettata in tema di
processo di divorzio rispetto a quella delineata in via generale nel codice di rito.
Avverso la decisione S. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi, successivamente ulteriormente illustrati da memoria, cui P. resisteva con
controricorso contenente ricorso incidentale, cui faceva poi seguito memoria affidato a due motivi, di cui il secondo condizionato, a sua volta resistito dalla ricorrente principale.
Con il ricorso principale S. ha rispettivamente denunciato:
1) violazione della L. n. 898 del 1970, art. 2 e art. 3, n. 2, con riferimento all'intervenuto rigetto dell'eccezione di inammissibilità ed improcedibilità
della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, esito che viceversa avrebbe dovuto essere ritenuto consequenziale al mancato passaggio in giudicato del capo della sentenza
relativi alla domanda di addebitabilità della separazione giudiziale;
2) questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 4 e successive modifiche (correlato all'art. 184 c.p.c. vecchio rito e art. 183
c.p.c. nuovo rito), in relazione agli artt. 3, 7, 24 Cost., sotto il profilo dell'omessa concessione dei termini per l'articolazione dei mezzi istruttori, nella specie focalizzata nella richiesta
di ammissione di prova testimoniale finalizzata a sostenere i denunciati profili di illegittimità costituzionale, richiesta formulata con la comparsa di risposta ed a torto dunque rimasta
inevasa;
3) questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 2 e successive modifiche, per contrasto con gli artt. 3, 7, 8 e 29 Cost., in ragione
della cessazione degli effetti civili del matrimonio, conseguente all'applicazione della normativa in questione.
Tale esito sarebbe infatti assolutamente ed irragionevolmente pregiudizievole per i cittadini che avevano in precedenza esercitato una comune libera opzione in
favore del matrimonio religioso.
Con il ricorso incidentale P. ha a sua volta denunciato violazione dell'art. 96 c.p.c., in relazione al comportamento processuale della S. che avrebbe
insistito nella pretesa di revisione della sentenza di divorzio, pur a fronte di normativa e giurisprudenza deponenti in senso contrario.
Tale censurabile comportamento, compiutamente rappresentato al giudice del merito, non era stato tuttavia da questo sanzionato e la decisione adottata sul
punto sarebbe stata dunque meritevole di riforma.
Con quello incidentale condizionato, infine, il ricorrente ha lamentato la mancata rilevazione dell'inammissibilità dell'appello, pur puntualmente denunciata,
per la mancata specificità dei motivi di impugnazione.
Osserva il Collegio che sono infondati entrambi i ricorsi.
Più precisamente, quanto a quello principale, si rileva innanzitutto che la censura prospettata con il primo motivo poggia su una pretesa inammissibilità della
domanda di divorzio laddove, come nel caso di specie, non sia ancora definito il giudizio di separazione per effetto dell'impugnazione proposta nei confronti di capi accessori e consequenziali
alla domanda di separazione, quali a titolo esemplificativo la richiesta di addebito, l'assegnazione della casa coniugale etc.
La Corte di Appello, cui era stata sottoposta la medesima questione, ne aveva rilevato l'infondatezza richiamando specifico precedente di questa Corte, rilievo
assolutamente da condividere tenuto conto della copiosa e consolidata giurisprudenza formatasi sul punto (C. 07/16985, C. 07/565, C. 05/21193, C. 05/15157, C. 04/16996). In ordine poi al secondo
ed al terzo motivo, è agevole rilevare come si tratti di questioni già prospettate e disattese dalla Corte Costituzionale con motivazioni che non sono in alcun modo intaccate (e tanto meno
superate) dalle censure sollevate dalla ricorrente, fra l'altro contrastate anche dalla giurisprudenza di questa Corte.
La Corte Costituzionale ha infatti avuto modo di precisare che il diritto all'indissolubilità del vincolo matrimoniale non rientra nel novero di quelli
costituzionalmente garantiti (Corte Cost. 73/176, 71/169, C. 96/7990, C. 93/11860), così come il giudice di legittimità ha avuto modo reiteratamente di affermare che nel processo di divorzio non
trovano applicazione gli artt. 183, 190 c.p.c., venendo in rilievo la disciplina speciale di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 4, e successive modifiche, volta ad accelerare l'accertamento dei
presupposti dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio (C. 07/20745, C. 07/17965, C. 06/9882, C. 05/16092).
Quanto infine al ricorso incidentale, quello condizionato risulta assorbito dal rigetto del ricorso principale, mentre va rigettato l'ulteriore ricorso, atteso
che la Corte di Appello ha ritenuto che difettassero gli estremi richiesti per la condanna ex art. 96 c.p.c., la relativa decisione è espressione di valutazione di merito e la motivazione che la
sorregge risulta sufficientemente articolata ed immune da vizi logici.
La sostanziale soccombenza della ricorrente principale induce alla relativa condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese
processuali, liquidate in Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre agli accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
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